Home » Teatrografia » Le Città Invisibili

Le Città Invisibili

le_citta_invisibili_img_max_width
2010 Auditorium Ara Pacis di Roma. 2011 Festival di Spoleto e Villa Celimontana. 2014 Fontanone Estate a Roma.
di Italo Calvino, con Massimo Popolizio e Javier Girotto.
Cura registica di Teresa Pedroni Aiuto regia Simone Faucci Assistente alla regia Elena Stabile Organizzazione Loredana Sottile

Reading – Concerto tratto dal testo “Le Città Invisibili” di Italo Calvino

Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”

Massimo Popolizio e Javier Girotto insieme per ricreare l’atmosfera straordinariamente suggestiva evocata da alcune pagine del testo “Le Città Invisibili” di Italo Calvino. Popolizio dà voce sia a Marco Polo, sia al suo ascoltatore, Kublai Kan, un imperatore melanconico cosciente del fatto che il suo sterminato potere conta ben poco perché tanto il mondo sta andando in rovina. Le città descritte da Marco sono inafferrabili, utopiche e a volte sembrano prendersi gioco dello stesso viaggiatore in una fuga infinita di specchi deformanti. Il dialogo tra le note e le parole è continuo, nasce così una sorta di vera e propria jam session, dove la musica acquista valore drammaturgico.

Nella scelta dei testi Teresa Pedroni ha prediletto l’aspetto più spettacolare dove la parola diviene più evocativa e più pregnante di significato. Anche la scelta del jazz come linguaggio musicale contribuisce ad interpretare il colore e le sensazioni che da esse scaturiscono sul filo dell’ironia e della leggerezza: sax, clarinetti e flauti andini di Javier Girotto intrecciano i loro suoni alla parola, incastonate in uno spazio magico illuminato da un sapiente gioco di luci. Nel ripetersi delle conversazioni fantastiche tra l’imperatore Khan e Marco emergere lentamente una zona intermedia in cui i due interlocutori grazie a una sinergia misteriosa trasformano in visione e racconto i desideri dell’uno e i sogni dell’altro.

Chi comanda il racconto non è la voce, è l’orecchio, dice Marco Polo. Così lo spettacolo, facendo proprie queste parole, lascia al pubblico la libertà di creare il proprio percorso mentale, guidato da un dialogo incessante tra voce e musica che insieme parlano dell’altrove, del viaggio, della libertà di abbandonarsi alle emozioni senza interrogarsi.